venerdì 29 novembre 2013

Presentazione de "Le donne della merceria Alfani" di Carmen Pafundi, edito da Altrimedia Edizioni. 29/11/13

Questa sera, trafelata e dopo una rocambolesca avventura occorsami a causa di un disguido per la prenotazione di una stanza in un albergo di Roma (per la fiera di dicembre "Più Libri Più Liberi"), mi avvio, bel bello, alla Libreria Mondadori, in via Oberdan, a Foggia.
Libreria fantastica, specialmente perché si è, oramai, creato un bel feeling con i proprietari, i quali mi hanno tenuta a battesimo per la presentazione del mio romanzo "Tute, tacchi e amore", fatta lì il 5 ottobre del 2013.
Sto divagando? Un pochino, lo so. Vabbè, andiamo avanti.
Insomma, corricchiando e trascinandomi dietro (tipo mucca al pascolo) il mio fidanzato, arrivo finalmente in libreria. Saluto Vittorio, marito di Marisa (i proprietari della libreria) e chiedo: "La presentazione è già cominciata?" e lui mi accenna che la faccenda va avanti da pochi minuti.
Varco la soglia della stessa saletta in cui anche le mie natiche eccitate si sono accomodate e... sì, lo so che delle chiappe non possono essere eccitate, abbiate pazienza. Dicevo, entro e mi trovo davanti un gruppetto di donne, la cui età, se si esclude qualche caso, va dai 70 ai mille anni circa.
Tramortita dalla naftalina e dalle rughe, mi avvio verso un paio di sedie libere, indicatemi dal mio fidanzato. 
Appena mi siedo mi chiedo se sia una presentazione di un libro o un rosario, visto che davanti a me c'è una suora. Insospettita e leggermente paranoica, comincio ad ascoltare l'autrice, tenendo però d'occhio la suora.
Sapete, per me che sono andata dalle suore da bambina e sono cresciuta in un fantastico ateismo totale, vedere una suora ad una presentazione mi fa un po' strano.
Ma torniamo a noi e alla presentazione.
Davanti a me c'è la testa della sorella dell'autrice, a cui vanno (con molta simpatia, eh) le mie maledizioni più ferventi: non stava ferma un attimo, costringendomi a fare una continua finta da una parte all'altra per vedere un accidenti di qualcosa.
Quando la capoccia della tizia si ferma in una posizione decente, vedo, per pochi istanti, le protagoniste della presentazione, ovvero l'autrice e la giornalista che la intervista.
E mi accorgo di due cose, immediatamente: l'autrice è prolissa da morire e che la cuffia della suora è più interessante del libro stesso.
Soprattutto dopo una gomitata del mio ragazzo, che si chiama Stefano. Insomma Stefano mi mima a gesti la mosca e mi dice che s'era posata sulla capa della suora. Avrebbe voluto schiacciarla. La mosca, non la suora.
Dopo esserci oziosamente persi per alcuni (gradevoli) minuti sulle vicende della mosca e aver immaginato dei fantastici scenari, torniamo alla realtà.
Siamo ancora alla presentazione. E l'autrice parlaparlaparlaparla fino a sfinirmi. In effetti le mie vereconde natiche hanno assunto l'aspetto del sedile su cui sono poggiate.
Guardo con discrezione l'orologio: cazzo siamo qui da un'ora e venti! Ma quando cazzo finisce 'sta presentazione, mai?!
Avete presente quel professore delle superiori, quello noioso e prolisso? Quello per cui le martellate nelle palle risultano quasi gradevoli? Ecco, la presentazione assume toni quasi scolastici, di quelli in cui è doveroso pensare ad altro, pena la morte dei neuroni.
Comincio a tamburellare discretamente con le mani sulle gambe, mi stiracchio, mi muovo sulla sedia, mi gratto in testa.
Sì, lo so che è disgustoso grattarsi in testa, ma in una saletta dove siamo una ventina di persone e sembra di stare ai Tropici visto il caldo, una grattatina ti vien voglia di farla, no?
Ebbene, mentre la giornalista pone domande di spessore (non chiedetemi quali, le ho dimenticate), l'autrice risponde. Ma guarda solo lei. Come se noi non ci fossimo.
Se non fosse che mi rompe le palle fare sempre la voce fuori del coro, avrei voluto dirle: "Ehi! Noi siamo di qua, eh!".
Insomma, pare che noi siamo dei cartonati che respirano e che non è il caso di guardare in faccia.
Ogni tanto osservo la mosca, per vedere se si posa di nuovo sulla capa della suora. Niente. Anche la mosca si sarà rotta i coglioni della suora. O dell'autrice. Non lo so.
Fatto sta che, mosca a parte, l'autrice continua a parlare. Sì, lo so che ad una presentazione un autore dovrebbe parlare, ma come questa non ne ho mai viste.
Questa mi ha sfinita.
Cercavo, visivamente, il tasto "on - off" ma non l'ho trovato. Peccato, perché ero esausta.
Insomma, a parte la chiacchierata fatta con la giornalista, l'autrice ci ha raccontato mezzo libro. Alla faccia del: "Non posso raccontar tutto".
Perché, se potevi raccontare tutto avresti detto solo due parole?
Quando la giornalista, probabilmente abbrutita anche lei, si rivolge a noi poveri cartonati umani, le faccio un paio di domande.
Quanto è stato difficile, per te, pubblicare? E perché hai scelto una Casa Editrice locale?
E lei: "Non è stato per niente difficile! La prima Casa Editrice che ho contattato, dopo una settimana mi ha risposto positivamente."
Se, come no. Se tu non hai avuto difficoltà nel pubblicare, allora io sono Babbo Natale.
E infatti...
"Anche se, devo dire, avevo mandato il mio manoscritto alla Mondadori e a tutte le grandi Case Editrici."
Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh, ora sì che sei sincera, fratella!
"Le quali mi hanno sempre risposto che, seppur scrivendo bene, non ero giusta per la loro linea editoriale. Ma come? Pubblicano chiunque e non me?".
E io, mentalmente: "Ma ti sei chiesta perché non ti pubblicano? Io una domandina me la farei, eh!".
Megalomanie a parte, appena finita (Deo gratias) la presentazione, mi avvio all'ingresso della libreria, dove afferro una copia del libro e lo apro.
Mi dico: "Vabbè, la presentazione sarà stata pure lunga e snervante, ma la trama mi piace".
Quando comincio a leggere l'incipit capisco una cosa terribile: l'autrice non solo è prolissa dal vivo, ma anche sulla carta.
La prima frase non ha una virgola che sia una. E dura qualcosa come tre righe. Tre lunghissime righe senza una pausa, senza un respiro. E il resto della prima pagina mi pare tanto un bugiardino: terribilmente noioso e soporifero da chiedersi se sia meglio avere gli effetti collaterali indicati nell'aspirina o continuare a leggere il libro della tizia in questione.
Chiudo il libro e lo ripongo sullo scaffale. Amo leggere. Ma un conto è un libro che ti prende sin dall'inizio. Un conto è leggere una intera frase arzigogolata e con un italiano eccessivo e ridondante.
Io odio le ridondanze. Mi innervosiscono. Di più: ho una fortissima idiosincrasia verso gli eccessi stilistici.
Non dico che l'incipit dovesse essere sgrammaticato, tipo: "Ho andato da Tizio perchè mi dicette che ci dovevo andarci."
Ma nemmeno essere in stile pseudo manzoniano o simili.
Specie se poi l'autrice mi cade su una forma dialettale, orribile, detta con noncuranza: "Tutti ne abbiamo di bisogno".
Di bisogno?!
Di bisogno???? 
Inoltre, dopo i ringraziamenti alla suora in questione, che è stata la maestra delle elementari dell'autrice, leggo sul suo profilo Facebook cose del tipo: "Grazie, a tutti, per avermi detto, o fatto, bla, bla, bla...". Per intenderci: c'era, una virgola, ad, ogni, maledettissima, parola, in, periodi, estenuanti, e, lunghi, da martellarsi, e frantumarsi, gli, zebedei.
Quindi mi sono detta: cazzo, se hai ringraziato suor Cosa per averti insegnato la punteggiatura, vuol dire che siamo messi proprio bene!
Allora sono giunta ad una conclusione inquietante. O l'autrice soffre di sdoppiamento della personalità, dove le virgole e i punti sono messi a cazzo di cane, oppure l'Editore ha rinunciato ad una revisione ed ha chiuso gli occhi, pubblicando l'impubblicabile.
Sarà.
Sapete cosa ho preso, alla fine? 
L'ultimo di Luca Bianchini: "La cena di Natale".
E tanti saluti all'autrice.




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