Buongiorno a tutti! È da un pezzo che non scrivo nulla, ma gli impegni di scrittura portano via tempo, come ogni scrittore sa.
Oggi ho pensato di parlare di una cosa cara a tutti noi esordienti: la "perfetta" Casa Editrice.
Innanzitutto, cari scribacchini, sappiate una cosa: non esiste la perfetta Casa Editrice, ma solo quella che fa per voi.
Quando si termina un lavoro e si è agli esordi arriva la domanda da un milione di dollari: "E adesso?".
E adesso, a meno di non usare come zeppa per il tavolo il proprio manoscritto, bisogna affacciarsi nel vasto mondo dell'Editoria.
Voglio raccontarvi la mia esperienza, sicuramente comune a molti autori. Lo faccio perché fra tanti che hanno già pubblicato c'è sicuramente qualcuno che annaspa fra nomi e realtà editoriali di vario genere.
Dunque, partiamo dal manoscritto.
Terminato il romanzo, ho incominciato a visionare siti internet di vario genere e mi sono imbattuta casualmente nel "Gruppo Editoriale Albatros" (http://www.gruppo-albatros.com).
Un minuto di silenzio è doveroso.
Fatto?
Bene, andiamo avanti.
Ah, nel minuto di silenzio potevate smadonnare mentalmente, quello era concesso, oltre che doveroso.
Scopro questo sito ben fatto, curato, patinato e con foto di vari scrittori famosi, video su conferenze tenute dagli autori pubblicati "etici etici" (che sta per eccetera).
Scopro, inoltre, un concorso, con scadenza trimestrale o una cosa simile. L'idea mi solletica, ma il romanzo non è davvero pronto per esser visionato: c'è ancora una scrematura da fare.
Così, facendo due calcoli, mi accorgo di avere 30 giorni per inviare qualcosa.
Pensa che ti ripensa, non avendo un cazzo da inviare, decido di scrivere cinque racconti (odio i racconti).
Per farlo mi do circa quattro giorni a racconto.
Scrivo come una pazza. Finito il primo, giù col secondo e via così.
Trafelata, ma soddisfatta, invio il tutto e attendo responso, tipo Sibilla cumana.
Responso che non tarda ad arrivare, con mia somma gioia.
Ed è pure positivo!
Che culo, mi dico.
Felice ed elettrizzata mi vedo rispondere alla mail, attendendo una ennesima risposta.
Che arriva via posta.
Apro il plico e caccio una brochure patinata, un DVD, il contratto e qualche altro volantino.
Leggo il contratto e subisco il primo colpo ferale: per stampare 'sto libricino fetente, di un centinaio di pagine, dovrei sborsare, secondo loro, qualcosa come 2600 euro.
Per "aiutare" e "fare a mezzo" con le spese. Per stampare circa 316 copie o giù di lì.
Ne parlo con i miei, i quali sono perplessi.
Ritengo di avere talento, altrimenti non mi avrebbero contattata, ribatto con la logica stringente degli allocchi.
I miei mi negano l'aiuto (e fanno bene).
Mi rattristo, quasi mi esce la gobba per quanto mi curvo sul mio sconforto.
Ma gobbe quasimodiane a parte, rifiuto e proseguo la ricerca per trovare la Perfetta Casa Editrice.
Scopro un mondo difficile, pericoloso e chiuso.
Ma scopro anche siti su cui si discetta di Case Editrici "free" e "a pagamento".
Con orrore vengo a conoscenza, quindi, che la Albatros non ha creduto in me, ma solo nel mio portafogli.
Sì, perché le testimonianze di scrittori contattati da questa gente, sono davvero tante.
Qualcuno manda persino un file contenente scansioni di scontrini fiscali, così, tanto per vedere che succede.
Succede l'impensabile: anche gli scontrini fiscali sono "piaciuti molto e se è interessata, la contatteremo per pubblicare la sua opera".
Qual è, allora il primo passo per un esordiente?
Evitare di essere gabbati da questa gentaglia sordida, che gioca sul tasto della vanità dell'autore, mettendogli sotto il naso tutta una serie di stronzate pur di estorcergli soldi.
Ho letto di gente che ha pubblicato con loro. Me ne dispiace.
Anche perché, fattivamente, la Albatros è assente dai circuiti librari, quindi se andate in libreria a chiedere, che so: "Cipolle innamorate" di Adalberto Imbecilloni, state pur certi che il signor Imbecilloni è imbecille di nome e di fatto, perché il suo libro non è presente.
Ma poi, se ci facciamo un conticino, ci accorgiamo che per stampare 316 copie non ci vogliono 2000 e rotti euro.
A meno che la copertina non sia in pelle umana.
Eh sì. Costa chiamare un killer di professione, si sa. Sebbene il tizio possa fare uno sconto non è che si raggiungano facilmente certe somme.
E poi, ecatombe a parte, dove diavolo è la distribuzione?
Chemmifregammè, dicono loro, scrollando le spalle.
A noi interessa che tu caschi come un pollo, ilrestocazzituoi.
Scampata, dunque, all'insidia di questo sedicente gruppo editoriale, ho incominciato a inviare il manoscritto a destra e a manca.
Con attenzione, però.
Inviavo solo a coloro che avevano delle collane in cui inserire il mio genere.
Inutile dire che i vari Feltrinelli, Mondadori eccetera, non mi si sono filati.
Ma come! E io che con Albatros credevo di essere una scrittrice di talento!
Signori miei, parliamoci chiaro: il talento, se c'è, prima o poi verrà notato.
Non è dato sapere da chi, però verrà notato.
La ricerca, dunque, diventa via via più affannosa, sconcertata e rattristata.
C'è chi risponde educatamente e chi nemmeno ti manda a cacare per mail.
Deprimente, vero?
Sì, ma non abbiamo ancora finito.
Nelle mie ricerche oramai ci infilo di tutto. Se le casalinghe di Voghera hanno creato una Casa Editrice che si chiama "Vogheringhe di casa", mando pure a loro, tanto...
Fra le attese di risposte che non arrivano e la scoperta di tante realtà editoriali, capito con l'ennesima "Casa Editrice" a pagamento, ma ancora non lo so.
Sulla fiducia, invio anche a loro e attendo.
Quale sorpresa, dunque, ricevere una solerte mail da parte loro?
Chiariamoci: dopo un po' il pelo sullo stomaco te lo fai. E se non te lo fai vuol dire che sei come il signor Imbecilloni di cui sopra.
Adesso lo so che se rispondono in maniera fulminea la cosa non va bene.
Ma all'inizio ero pivellina e sognatrice.
Torniamo alla velocità lampo della BookSprint: il suo manoscritto ci è piaciuto e bla, bla, bla.
Le solite cose.
Mi arriva la mail con allegato il contratto e leggo: 1100 euro una tantum per le spese di stampa.
A parte che a me 'stu una tantum m'assummegghj na pillola da pigliare, appunto, una tantum.
Ma poi: 1100 euro per stampare 100 copie?
Aridaje, dunque, con la copertina in pelle umana e il serial killer.
Di buono c'è che mi inviano una copia stampata del mio libro, per farmi vedere il lavoro tecnico e il formato di stampa.
Il formato non mi garba: somiglia un quaderno scolastico. La carta è bianco lenzuolo e mi abbaglia. Ma solo quella.
Così mi accingo a mandare una bella mail sincera, all'uso mio: gentili signori, grazie mille per la copia inviatami e per il lavoro fatto MA non credo nell'editoria a pagamento, quindi rifiuto il vostro contratto.
Vien da dire: non basta che mi faccio il culo a scrivere, dovrei persino pagare per vedere il mio romanzo stampato?
Ma questi ci fanno o ci sono?
È ovvio che la menata era sottintesa, alle mail si risponde sempre in maniera garbata, ma il succo, sebbene implicito, è questo.
Ma la Book Sprint non molla.
Vengo ricontattata telefonicamente dalla signorina segretaria dell'illustrissimo sig. propriet. ing. dott. e tutto quello che volete.
In sostanza, l'illustrissimo, presa visione del mio rifiuto, cala le pretese: se voglio posso far parte della squadra!
Tutto "aggratìs" e la copia delle stampe scende a 50 anziché a 100!
Evviva!
Ma questi davvero farebbero perdere la pazienza anche a un santo.
Io, che santa non sono, se non solo sul calendario il primo di luglio, replico che se lo possono scordare.
Avete notato una cosa o vi è sfuggita?
La BookSprint aveva provato a farsi pagare e, non essendoci riuscita, mi aveva proposto una pubblicazione gratis.
Ora, per quanto lusingata dal mio (forse) talento, per principio non sopporto i maneggioni.
A proposito! Sapete che la parola inglese "manager" deriva dall'italiano"maneggiare" ed è stata coniata come parola spregiativa verso gli italiani nel periodo Elisabettiano in Inghilterra?
Ricordi universitari, scusate.
Ma qui ci sta tutto il senso di maneggioni, visto che il termine fu coniato per indicare degli imbroglioni.
Tornando ai maneggioni, dunque, quello che non sopporto è il "provarci". Se va bene, ti frego soldi. Se va male, ti pubblico gratis.
E no, non va bene!
E non è moralmente etico.
Salutati (senza rimpianti), gli ennesimi signori che volevano ravanare nel mio portafogli, mi ritengo una col pelo sullo stomaco.
Le esperienze negative sono più formative delle positive, inutile dirlo.
Continuo, dunque, la mia ricerca.
Qualcuno pare interessato, altri si perdono nel mare del nulla.
Hanno un sito strabello, con chat e personale che risponde davvero!
Contratto sulla percentuale da ricevere per eventuali vendite, spuntando il 30%, se non ricordo male.
Ma c'è un ma: per apporre il codice ISBN devo pagare.
Eh, ricominciamo, mi dico.
La cosa bella della Youcanprint? La possibilità di scegliersi la cover. Loro sono affiliati a www.fotolia.com, quindi, dopo affannosa ricerca, trovo la cover adatta al mio romanzo.
La faccenda va avanti, ma io sono restia a firmare il contratto.
Mi arriva a casa la prima copia: 35 euro per un libro.
Roba da rimanerci stecchiti.
Avrei capito se fosse stato un catalogo della Skira ma, dato che non parliamo di Arte e Pittura, 35 euro per creare un codice ISBN mi sembra un furto.
Ma la Youcanprint mi piace. Soprattutto perché pugliese come me.
E non mi piace perché nelle librerie non si sa chi siano.
Decido, per diffidenza, di non firmare il contratto e li saluto.
Da notare che loro non hanno chiesto soldi.
Però le realtà editoriali solo su internet non mi ispirano molta fiducia.
Parliamoci chiaro: la distribuzione di un libro è l'ossigeno del suddetto tomo.
E se tu sei solo una realtà vista al computer come vuoi che possa vendere se in libreria non vi si trova?
Dopo qualche anno fatto di invii, speranze disattese, mail mai ricevute e risposte negative, un amico mi parla di una Casa Editrice foggiana: Il Rosone (http://www.edizionidelrosone.it), appartenente ad una sua amica.
La contatto, la ragazza è giovane e volitiva, oltre che avvocatessa.
Le porto uno stralcio del romanzo, circa 30 pagine. La sede della sua Casa Editrice, gestita da lei e dalla madre, era stata creata dal defunto padre.
Mi piace che sia un ambiente femminile. Fra donne, mi dico, ci capiremo meglio.
La ragazza mi ricontatta: le piace il mio modo di scrivere. Ci rivediamo e si parte col piede sbagliato:
"Quanti tagli dobbiamo apportare?".
Come? Ha letto appena 30 pagine e già parliamo di apportare tagli al manoscritto?
E se lo avesse letto tutto? Cosa mi avrebbe detto? Che da 300 pagine circa lo avremmo dovuto ridurre a 100?
"Sai, i costi..."
Eh, ho capito che costa stampare libri, ma se smembro la storia risulterà azzoppata, monca!
Mi invita ad un evento letterario. Ci partecipo, annoiandomi a morte. Non ho mai amato le poesie, inutile farne mistero.
E poi, tutta 'sta gente con la puzzetta sotto il naso mal la digerisco.
A fine serata acchiappo la ragazza e vado dritta al punto che mi preme: sapere se e quando si parte. Ma, soprattutto, sapere se è richiesta la pecunia da parte mia.
Sì, è richiesta.
Ora, sebbene i latini dicessero che "pecunia non olet", per me la pecunia profuma eccome.
Profuma di sacrifici fatti per arrivarci ad averla, quella pecunia.
Così mi appaiono non più come due donne con cui rapportarmi, ma delle ennesime persone che vogliono i miei soldi.
E nemmeno ho chiesto come sono messi a distribuzione.
Me ne vado, con l'ennesima sconfitta in tasca.
Perché io di pubblicare a pagamento proprio non voglio.
Sempre il solito amico volenteroso, amico di mezza Foggia, mi telefona una sera per dirmi di aver appena conosciuto un (ennesimo!) Editore, sempre locale.
L'approccio è elegante, l'Editore mi accoglie dietro una monumentale scrivania, con tanto di sigaro (spento) fra le labbra.
Parliamo del più e del meno, guardo qualcosa che ha stampato e, stupore!, pubblica in maniera gratuita!
Sono approdata, finalmente, nel Gotha degli Scrittori, mi dico.
Niente di più falso, ahimè.
Perché, sebbene anche a lui piaccia il manoscritto e si cominci a portare avanti il progetto per stamparlo, ci sono due cose che non mi garbano:
non c'è editing, manco a pagarlo oro;
l'Editore non mi fa nessun contratto.
Sull'editing non puoi passarci sopra. Onestamente, per quanto un autore possa scrivere bene, è palese che qualche refuso capiti. E anche qualche pesce (errore di composizione consistente nel saltare una parola o una frase intera dell’originale).
Per non dire delle discrepanze, delle incongruenze, dei tempi verbali che vivono di vita propria, della grammatica...
Insomma, un autore, una volta finito il suo compito, ha bisogno di editing, per notare tutto quello che non nota.
La faccenda del contratto pare una barzelletta: "Sì, ci conosciamo, non è un problema. Sai che anche Tizio ha pubblicato con me? Sono anni che pubblica con me e mica ha un contratto!".
Eh no.
Io con un contratto posso capire tante cose. Senza, annaspo nel vuoto cosmico: può succedere qualsiasi cosa.
Sempre più perplessa, dunque, proseguo l'avventura "castellana".
Trovo, da parte dei grafici, una totale apertura: io visualizzo mentalmente la copertina e la snocciolo in tempo reale e, in tempo reale, la vedo nascere sullo schermo del PC.
Questa cosa mi piace moltissimo.
Ma il non avere un contratto mi turba non poco.
La copertina è come la volevo io, ma il resto va a rotoli: comincio a mandare mail su mail per poter parlare con l'Editore che, manco a dirlo, pare sempre da "qualche altra parte".
Riesco, dopo insistenze, ad avere il numero di cellulare dell'Editore.
Lo chiamo, lui non ha il mio numero di cell, quindi lo becco di sicuro.
Cosa che accade. Appena capito chi sono, pare avere una défaillance e incespica nelle parole, farfugliando qualcosa come: "Sto proponendo il tuo manoscritto a un Editore di Roma".
Come?!
Ma se lo proponi a uno di Roma, perdonami la finezza, ma tu... chi cazzo sei?
U stattattint?
Dicesi "stattattint" colui che, appunto "sta attento". Di solito è un portiere dello stabile.
La cosa non mi quadra e mi lascia sempre più perplessa e, diciamolo, in paranoia.
Oramai vedo Editori fasulli ovunque, anche il fruttivendolo sotto casa potrebbe essere un Editore sotto mentite spoglie.
Il progetto si blocca, su mia tempestiva richiesta: mi faccio ridare il file indietro, loro rivogliono la bozza di copertina stampata.
È giusto: a ognuno il suo, zero a zero e palla al centro.
Qualcuno si chiederà, a questo punto, un paio di cose:
ma dura ancora a lungo 'sta storia?, e
perché non hai pubblicato con loro?
La risposta alla prima, giusta, domanda, è: no, ho quasi finito.
Alla seconda vi rispondo così: sebbene non mi avesse chiesto soldi e me lo avesse esplicitamente detto, non mi è piaciuto il comportamento dell'Editore: appena deciso di pubblicare, è sparito. All'inizio era tutto sorrisi e pacche sulla spalla.
Poi nulla.
Insomma, non è che volessi fiori o cioccolatini, ma uno straccio di risposta alle mail non mi pare una cosa così terribile e gravosa.
E poi, noi autori non siamo degli scassacazzo senza motivo.
Se ti mando una mail, o ti chiamo, ci sarà un perché. Mica voglio che tu mi racconti della tua giornata e dell'amico che hai incontrato al bar stamattina.
Voglio notizie sullo stato di avanzamento dei lavori.
Perché sebbene alcune persone pensino che scrivere non sia un lavoro e che tutti sono in grado di farlo, vi assicuro che non è così.
Scrivere stanca, prosciuga energie e cervello.
Quindi voler sapere che succede al manoscritto non mi pare una cosa tanto strana.
Questo non vuol dire essere asfissianti.
Com'è e come non è, ho salutato anche loro.
Godono di ottima salute, pubblicano ancora e tutto il resto. Chissà se ancora hanno la filosofia del "non" contratto.
Arriviamo all'ultimo passo: la Arpeggio Libero Editore (http://www.arpeggiolibero.com), ovvero la Casa Editrice che mi ha, finalmente, pubblicata.
Dopo aver lasciato il manoscritto a morire, un amico mi ha parlato di questa piccola, ma competitiva, realtà editoriale.
Oramai indurita, disincantata e con un certo qual sorrisetto ironico, dunque, ho inviato il manoscritto.
Quando mi è arrivata la mail, dopo un mese, che mi diceva che erano interessati a pubblicarmi, ho sentito puzza di imbroglio.
Chiunque l'avrebbe sentita.
Due le cose: o sono un maledetto genio della scrittura e ancora non l'ho capito, o sono talmente rincoglionita e imbecille che tutti tentano di fregarmi soldi.
Rispondo alla mail: parliamoci chiaro, se siete editoria a pagamento, grazie di aver perso tempo, ma io non ritengo giusto pagare per pubblicare.
Invio e attendo.
La risposta arriva in un biz: non siamo editoria a pagamento.
O cazzo, mi dico, aspè, vediamo se è proprio vero: non chiedete soldi nemmeno per la copertina?
Ennesima risposta: abbiamo i nostri grafici. Niente soldi da cacciare, solo tanto entusiasmo per pubblicizzare la nostra Casa Editrice, che è giovane. Ci stai?
Ci sto.
Comincia l'avventura più bella della mia vita: un contratto chiaro e vincolante solo per l'opera inviata, cinque anni con loro, dieci percento sulle copie vendute, distribuzione nei tot posti.
Tutto vero, finalmente.
Alla fine vedete?
Aspettare paga.
Quando l'istinto vi dice che un Editore, seppur gratis, non vi convince, non pubblicate con lui!
Io ho evitato un sacco di contratti, molti li ho persino rimossi dalla memoria.
Fra questi non solo Editori a pagamento, ma anche gente che voleva investire nel mio talento.
Quindi il mio umile consiglio è questo: vista l'esperienza accumulata con varie persone, più o meno corrette, più o meno oneste, mi sento di dirvi di prendervi tutto il tempo necessario per capire chi avete di fronte prima di vincolarvi con un contratto che, qualora non dovesse più esser di vostro gradimento, potrebbe portarvi a risoluzioni legali sgradevoli.
Bene, visto che non è mio pregio essere breve (non scriverei romanzi, altrimenti), spero davvero di esservi stata d'aiuto.
Per il resto:
Audentes fortuna iuvat,
timidosque repellit.
(La fortuna aiuta gli audaci e respinge i vigliacchi)
Virgilio, Eneide.
Esther Pellegrini.