giovedì 16 gennaio 2014

L'amore nel carrello

L’AMORE NEL CARRELLO


Okay, sono pronto ad essere di nuovo un single trentenne.
No, non è vero, non sono pronto.
Cioè, dico, giro come un pirla per questo cazzo di centro commerciale sorridendo come un idiota e nessuna mi si fila. NESSUNA. Al più mi sogguardano e poi tirano dritto, velocemente. Ti credo, di sfuggita ho visto in uno specchio il mio sorriso: da psicopatico sfigato, con in più l’offerta dei calzini prendi tre e paghi due nel carrello. E sono pure di spugna. Orrendi, se guardati da un occhio femminile.
   Butto un occhio alla mia spesa: sottilette, würstel, senape, bitter, salatini per le feste, cotolette già pronte e da mettere in padella e un cartone di birra. Potrei camparci per anni con queste cose che Claudia giudicava schifezze.
   Lara tenta sempre di psicanalizzarmi, non riuscendoci mai del tutto. Io tento sempre di spiarle le tette, invece, l’unica cosa buona che Dio le abbia dato. Per il resto, sembra un Picasso e non nei suoi giorni migliori.
Lara è l’unica amica donna che ho. Sul serio. Si dice che noi uomini ci faremmo anche le piante e generalmente è vero. Ma con Lara non è così.
   Spesso ho la tentazione di chiederle se ha visto cosa ha fatto l’Inter, o che olio usa per la macchina. Vedete? Ci può essere davvero amicizia fra uomo e donna e io e Lara ne siamo la prova.
Nel frattempo, seguo i suoi consigli su dove e come rimorchiare. E giro per questo stupidissimo supermercato intanto che il mio carrello si riempie di cazzate.
   Mentre passeggio fra il sedano e le rape, evitando tutto ciò che è “verde e fresco”, un profumo stordente mi passa alle spalle. Lo sguardo fulmineo insegue due deliziose chiappe fasciate in un paio di pantaloni gialli. I miei occhi diventano come quelli di un Velociraptor famelico, come direbbe Lara. Solo per accorgermi, quando la meravigliosa creatura si volta, che è un cesso della peggior specie.
Ritiro le antenne ormonali e disintegro con gli occhi il sedano.
“Ecco!”, mi avrebbe detto Claudia, con livore. “Sei sempre il solito porco!”.
Claudia, per chi non lo sapesse, è la mia ex ragazza.
   E sì, sono un porco, lo ammetto. Come il restante dei 3 miliardi di maschi sulla faccia della Terra. Il rimanente 1,5 miliardi è composto da arpie invelenite e mollate per l’altro miliardo e mezzo di figone con cui le abbiamo tradite.
Lara mi contraddice con forza quando apro questo argomento. Ma è vero. Chiedi a tutti i maschi che vuoi: dopo un po’ la fidanzata si trasforma. Dapprima non ride più delle tue battute idiote. Poi ti guarda schifata quando ti viene un ruttino post birra (invece prima ridacchiava estasiata). In seguito comincia a commentare (con te presente), il tuo gusto nel vestire che, scopri, le fa schifo. Questo dopo un anno di fidanzamento.
Al secondo anno comincia a dartela una volta al mese. Se ti va bene. Non mette più i tacchi e i tanga, ma i mutandoni contenitivi. Si depila meno le gambe ed il suo umore è costantemente irritato con te. In una parola? Da amabile rompicoglioni, diventa solo una rompicoglioni. Che, tra l’altro, ti ricorda orrendamente sua madre.
Il che, ragazzi miei, non è piacevole se si pensa al sesso.
   È vero che non sono stato un gentleman con Claudia. Il tradimento è da vere carogne. Ma scusate, cosa ci possiamo fare se, vedendo un culetto polposo, la nostra mente comincia a immaginare scene da infarto?
Laddove voi donne siete liriche e poetiche, noi, dico a Lara, siamo dei primitivi. Dei trogloditi che ragionano per tre priorità: fame, cacca, sesso (non precisamente in quest’ordine, sia chiaro). E nanna. Giusto. Sono quattro.
   Manco sappiamo contare e voi credete che abbiamo dei pensieri profondi? Beh, ragazze, lasciate che ve lo dica: nel nostro cervello si scazzottano due neuroni soli che lottano per la supremazia. Chi dei due vinca non è dato sapere. Fatto sta che il tradimento ce lo portiamo dietro dalla prima eruzione cutanea chiamata “brufolo”. Da quando i nostri ormoni cominciano a ricordarci che il Ciclope Monocolo non serve solo per far pipì, ci rendiamo conto dell’enorme potere contenuto nelle nostre (e nelle vostre) mutande.
Ecco, più o meno, quello che avevo detto a Claudia, quando mi aveva miserabilmente scoperto ad avere una relazione con un’altra donna.
   Il vaffanculo di Claudia, pensai oziosamente, doveva essersi sentito fino al quartiere seguente.
   Non che non mi fossi meritato il suo benservito, sia chiaro. Sapevo di essere stato ignobile. Peli alle gambe o meno, Claudia era un brava ragazza. Ma ultimamente era diventata insopportabilmente soporifera, monotona. Il sesso, poi, chi se lo ricordava più. Insomma, non riuscivo a vedere più l’amore che mi aveva legato a lei.
   Certo, esistono modi più adulti per mollare una ragazza. Ma non vedevo come. Dirle che le sue lasagne mi facevano schifo non era il massimo. Ci voleva un motivo più serio. Non russava, non allentava bombe chimiche silenziose sotto le lenzuola, dunque cosa diavolo dirle?
   E poi era arrivata Giulia a darmi il motivo perfetto: gambe lunghe, due tette da urlo e un sedere da Oscar. Il piccolo particolare che vi ho omesso? Giulia era collega di Claudia e recente amica intima.
Ehi, ho pensato, quasi quasi divento anche io amico intimo di Giulia! Solo che, quando un uomo diventa amico intimo ci sono vestiti e mutande che volano per terra.
A dirla tutta poi, Giulia non era questo granché, sessualmente.
   “E ti sei perso Claudia per quella puttanella tutta gambe?”, mi aveva rinfacciato, incredula, Lara, al mio confessarle che Giulia a letto era una pippa.
Noi uomini siamo così: parliamo di tradimenti, diciamo che ci vorremmo fare questa o quella e, alla fine, non ci resta un cazzo, se non le nostre ignobili fanfaronate da mocciosi mal cresciuti.
Ai miei amici maschi ho dovuto dire di tre mirabolanti trombate, che figura ci avrei fatto, sennò?
Ecco, vedete?
   Questi siamo noi. Dei patetici imbecilli che si perdono delle quasi ottime fidanzate per un tradimento.
Ma, tradimento a parte, c’era una cosa che mi inquietava in Claudia. Ultimamente aveva cominciato a guardare le vetrine della Chicco. Che male c’è?, direte voi.
   Nulla di male, se questo non implica una richiesta dei vostri spermatozoi.
E da qui ho iniziato a decretare la fine della storia con Claudia.
   Intendiamoci: io non ho niente contro i bambini. Se poi sono figli degli altri li trovo estremamente carini, quasi simpatici.
Peccato che a me non interessi nulla di un moccioso col pannolino flatulento e sporco di cacca che balbetta il mio nome chiamandomi (orrore): “Papà!
   Ecco spiegato il mistero. Come diavolo le era mai potuto venire in mente che io, a trent’anni, volessi smettere di fare l’idiota beone per calarmi nei panni di papà tutto sbrodoloso e mossettine ridicole?
Dico, ma Claudia mi aveva visto bene??
   I tornei con la Play Station a Grand Theft Auto? Li organizzo io.
   Poker e birra fino alle 4 di mattina? Sempre io.
   Champions League con pizza, birra e rutto libero sul divano a casa mia? Ma che ve lo dico a fare…
In una parola: Il Perfetto Trentenne Che Non Vuole Impegnarsi.
   Sì, ma allora perché diavolo me ne sto qui a girare come un cretino alla ricerca di una nuova Claudia che mi sopporti? Perché, diciamocela tutta, anche io non è che sia la quintessenza della simpatia in certi istanti. E Claudia mi amava anche per questo. Peccato per quella storia dei figli, penso, mentre metto nel carrello della pasta.
   Stremato dal mio inutile girellare, mi dirigo verso la libreria.
La cosa buona che mi ha lasciato Claudia è proprio questa. Mi ha insegnato a leggere. Non che io non lo sappia fare. Ma la Gazzetta dello Sport generalmente non è intesa come “lettura” dal gentil sesso. Così, carrello alla mano, entro nella libreria e comincio a guardare i dorsi coloratissimi dei libri.
Se sono infelice?
   Non direi. Per quanto non vorrei, Claudia è già un ricordo sfocato. Sono stronzo, lo so. Ma ho capito, nell’istante stesso in cui mi perdevo nelle lunghe gambe di Giulia, che di Claudia non me ne importava più nulla da tempo ormai. Questo non giustifica la mia bastardaggine nei suoi confronti, ma noi uomini siamo stranamente semplici: dacci cibo e sesso e ci fai felici. Dacci rotture di coglioni e nottate solitarie e cominciamo a strepitare.
   A volte sento la mancanza dei suoi abbracci, ma poi mi torna in mente la sua voglia di un figlio con la mia stessa faccia da pirla e rabbrividisco.
Prendo un libro di Camilleri, lo sfoglio e annuso la carta, fresca di stampa.
«Ottima scelta, se posso permettermi!»
Mi volto e vedo una gnocca da paura, che mi sorride impacciata. Noto che ha un cartellino. Si chiama Luana.
«In effetti non me ne perdo uno!» E le faccio l’occhiolino.
   “Ecco il mandrillo in azione” direbbe Lara.
Lo so, faccio schifo. Adesso comincerò con le solite stronzate maschili, del tipo: come sei bella, ma è tanto che lavori qui e sei single?
   Certo che siamo veramente patetici per quanto suoniamo ripetitivi. Dovremmo dire qualcosa di diverso, ma a volte ho il sospetto che a voi donne piaccia sentirvi apostrofare con queste banalità.
«Anche io leggo Camilleri, sai? È uno dei miei preferiti, assieme a Luca Bianchini.»
   Chi cazzo è Bianchini? Fingerò di saperlo: la dea dell’amore mi sta dando corda, fossi scemo a dirle che sono ignorante e che non mi spingo oltre qualche altro di cui manco ricordo il nome di battesimo.
«Hai letto l’ultimo?»
   Sto per rispondere di sì quando mi viene un pensierino antipatico, che comincia con la parola “sincerità”.
E no, diamine. Frena, Luca, frena! Sei single, moderatamente arrapato, ma con le balle ti eri ripromesso di piantarla.
   Sbuffo, seccato, e la guardo negli occhi (e non sulle tette, come l’istinto suggerisce spasmodicamente):
«Non ho letto l’ultimo di Bianchini. Anzi, a dirtela tutta, non so manco chi sia.»
   Questo la spiazza e resta muta per un attimo. Poi mi sorride e mi dice di andare con lei.
Strano a dirsi, non penso al sesso o a guardarle il sedere. Penso alla figura di merda scampata e alla sua voglia di salvarmi dal baratro dell’ignoranza.
“Vuoi vedere che sto male?”, mi chiedo preoccupato. Se ci fosse Lara sghignazzerebbe e mi direbbe: “Idiota, stai crescendo!”.
   Beh ragazzi, se la maturità significa non aver voglia di saltare addosso a tutte le donne che vedo, è orribile.
Ci fermiamo vicino ad uno scaffale e mi passa due libri: «Ecco. Bianchini e la mitica Littizzetto. Con lei sono risate assicurate.»
«Lo so, la vedo sempre da Fazio.» Le dico stupidamente. Mi sembra di avere la lingua felpata, le ginocchia molli, il cuore in gola.
   Che cazzo succede, sant’iddio?!
Con Claudia non mi era mai accaduto! Che abbia bisogno di un medico?
«Mi chiamo Luca.» Le dico, senza senso.
«Io Luana.» E ride.
«Mi dai il tuo numero?»
«Stavi andando così bene e poi mi cadi nel banale? Facciamo un gioco, invece! Torna qui la settimana prossima, allo stesso orario, e ti permetterò di farmi una domanda a cui io risponderò. Una sola domanda per settimana, però! Ci stai?»
   Come dire di no a quel sorriso meraviglioso?

   «Ma si può sapere che hai oggi?»
Lara mi fissa infastidita, schioccandomi le dita sotto il naso.
Torno faticosamente in me. E sorrido come un cretino. Poi le racconto di Luana e del gioco.
«Che domanda dovrei farle, secondo te?» Le chiedo ansioso.
«E che ne so io?»
«Ma tu sei donna!»
«Embè? Mica tutte siamo uguali, babbeo!»
Lara sa essere confortante quanto un cactus infilato dove non batte il sole.
   Ho stilato, mentalmente, una lista di domande. Su tutte campeggia sempre la prima, ovvero: SEI SINGLE??? Chiariamoci: non me ne frega un fico secco se ama vestirsi di verde o fucsia, ma questa ragazza ha colpito talmente la mia fantasia che sta passando verso la seconda categoria, cioè quella delle probabili fidanzate. La prima, beh… la prima è quella dove si inseriscono quelle da una botta e via. Semplice, no?
   Giro col mio solito carrello nella libreria, cercandola con ansia, ma fingendo di avere tutto sotto controllo. Appena la vedo, il cervello mette in moto una serie di allarmi anti-fidanzamento, ma me ne frego allegramente.
   Quando mi vede un sorriso le illumina il volto. Il mio occhio, dopo una frazione di secondo, cala verso la sua maglia scollata: lì c’è minimo una terza abbondante che mi aspetta, porca miseria!
«Luca? Pronto? Terra chiama Luca!»
«Eh? Chi?» Mi impappino come un baccalà e divento rosso perché mi ha sgamato a perforarle la maglia.
«Eh, sì, ciao.»
«Che domanda vuoi farmi?» Mi sorride maliziosa, mentre io sto per strozzarmi.

   «E tu le hai chiesto se le piacerebbe pizza e cinema nella stessa serata? Certo che sei proprio un cazzone!» Lara mi guarda con disprezzo mentre beve il suo Spritz Aperol. «Fra tutte le domande più sensate, genio, ti ricordi che c’era quella fondamentale
«Lo so, Lara, lo so.»
«A che cazzo serve sapere se vorrà vedere un film con Johnny Depp se il suo fidanzato ti stende e ti manda all’ospedale con due costole incrinate?»
   Mi faccio piccolo piccolo e la guardo a disagio. In effetti, la prima domanda da fare era quella. Ma poi, chissà cosa diavolo m’è pigliato.
«La settimana prossima vedi di chiederle se è single. Altrimenti non mi chiamare!»

   Il tempo scorre. E le domande pure. Ho assodato che Luana è single. Oramai conosco tutti quelli che lavorano in questa stupida libreria, spreco mezzo stipendio di libri, a breve mi proporranno persino sindaco dato che alzo il prodotto interno lordo, eppure Luana è ancora restia ad uscire con me!
   Nell’ordine le ho chiesto: ti piace il mare, la montagna, le crociere, il formaggio, il calcio, i libri, la natura? Che cazzo le devo chiedere più prima di sembrare ancora più banale di così?! È ovvio che qualcosa di queste stronzate le piaccia! Ma devo arrivare alla pensione per uscirci assieme? Poi mi deprimo al pensiero del primo bacio con la lingua: altre otto domande? E una tastata di tette?  Non oso nemmeno immaginare. E per darmela? Mmm, mi sa che farei prima a farmi monaco trappista.
   Lara all’inizio mi dava consigli su come comportarmi, adesso è talmente seccata che, come faccio per aprire bocca, mi ringhia:
«Se mi parli ancora di quella giuro che ti mollo al bar e stacco il telefono! È diventata un’ossessione: Luana qua, Luana là! E dacci un  taglio, che palle!»
«Tu non ti sei mai innamorata sul serio, ecco perché non mi capisci!» Sbotto furioso.
«Certo che sì, imbecille! Solo che lui non mi si fila per niente!»
   Ho il vago sospetto di essere io quello che non se la fila. Ma ci passerò sopra. Lara è come un amico maschio, solo che ha le tette. E con gli amici è notorio che non si fa sesso. E poi sicuramente mi sbaglio, mi dico con una scrollata di spalle.
   Nel frattempo il gioco continua. Sembra che lei non ne abbia mai abbastanza. Io, invece, comincio a sentirmi girare le palle. E di brutto pure.

   Basta. Oggi le chiedo se vuole uscire con me. Appena la vedo, la afferro per un braccio e sorrido ai clienti a cui l’ho rapita:
«Scusate, io no palla italiano. Io bisognia aiuta bella gnocca. Arigatò!»
   Mentre Luana ride del mio improbabile giapponese, la piloto verso una corsia vuota. «Vuoi uscire con me, stasera?»
«Credevo non me lo avresti chiesto mai più.» Mi fa un occhiolino e sparisce.

   Il ristorante è un locale di quelli dove, solo per sederti su una sedia, devi venderti un rene e i camerieri sembrano tutti parenti della regina d’Inghilterra per come se la tirano. Ma Luana mi ha assicurato che si mangia benissimo.
   Sarà, ma io vedo degli enormi piatti con dentro delle porzioni microscopiche che ricordano tanto le palline di cacca delle pecore. Guardo dubbioso il menu, che ha nomi strani e incomprensibili e mi sento un attimo a disagio. Mi ci vorrebbe un traduttore simultaneo.
Ordino quello che mi sembra meno improbabile, oltre che meno ributtante e la serata inizia.
   Parliamo delle cose più assurde: della pubblicità di Rocco Siffredi, sulle patatine imbustate; della lotta estiva agli scarafaggi (ha un giardino); del naso grosso del tizio che è seduto al tavolo vicino al nostro; dei libri che legge e di cosa le sarebbe piaciuto fare se non avesse lavorato in una libreria.
Luana è vivace, allegra e muove spesso le mani, lunghe e bellissime.
Scommetto che se facessimo una figlia verrebbe come lei. Perlomeno io la vorrei come lei.
Appena finito il pensiero uno dei miei due neuroni si è suicidato per lo spavento: quello di Peter Pan, per la precisione. Ha vinto quello di Matusalemme per due a zero.

   Due anni dopo, al nostro matrimonio, Lara piange, ma non mi sembra felice. Solo allora capisco.
Ero davvero io l’idiota che non se la filava.
La stringo forte a me e le sussurro:
«Ti voglio bene, streghetta.»
   Crescere ti fa capire che, senza volerlo, a volte si è crudeli con qualcuno. L’ultima persona a cui avrei mai voluto far del male è proprio Lara, la mia meravigliosa amica. Una tristezza malinconica mi avvolge quando penso che è finita un’epoca.
   Adesso sono un uomo sposato. Uno di quelli che prendevo allegramente per il culo. Mi guardo la fede, al dito. Brilla come solo l’oro nuovo sa fare. È semplice, una francesina bombata che ha, all’interno, il nome della mia Luana e la data di oggi.
   Buffo come cambia la vita di un uomo: un attimo prima sei un pirla e credi che la gioventù e gli addominali scolpiti dureranno per sempre; l’attimo dopo ti ritrovi a firmare col tuo nome e cognome sul registro della chiesa e ad aver giurato fedeltà imperitura ad una donna.
Resti sempre un pirla, ma con la fede al dito.
   Mentre faccio questi pensieri, vedo il mio amico Guido, serio, timido e belloccio. Poi guardo Lara e mi dico: tutti e due single, in cerca di un amore vero e con nulla da perdere. Perché no? Mi volto verso Luana e le sussurro qualcosa. Il suo sguardo saetta dall’uno all’altra e poi sorride assentendo.
   Scambiare qualche invitato ai tavoli forse non porterà a nulla, ma Guido e Lara stanno parlando. Ogni tanto se la ridono. Chissà… Forse non accadrà un accidenti, però mi piace pensare che, magari, in un futuro non troppo lontano, Lara trovi qualcuno che non sia io.   
   E poi oggi ha un reggiseno fantastico che riempie il vestito in maniera invitante. Pare che anche Guido se ne sia accorto, dato che i suoi occhi stanno radiografando ogni due secondi il delizioso promontorio.
   Ecco. Siamo punto e a capo. Mi sa che anche da sposato rimarrò un guardone.

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